Emergenza COVID – 19, ma non solo: colletti bianchi e operatori socio – sanitari sono allo stremo. È Massimo Tortorella, Presidente del pool legale Consulcesi, a lanciare l’allarme: “I nostri operatori sanitari continuano a essere spremuti e, per di più, non sempre lo fanno in condizioni di sicurezza. Con il rischio anche di sacrificare la propria salute fisica e mentale. Tutto questo senza un adeguato riconoscimento”. La situazione descritta dal Presidente di Consulcesi Massimo Tortorella è stata solo acuita dalla pandemia poiché, anche prima del COVID – 19, la situazione era già instabile, precaria e difficile. Il diffondersi ed il protrarsi dell’emergenza sanitaria da ormai più di un anno ha reso più difficile la vita professionale di medici ed operatori socio – sanitari, attualmente costretti a sostenere turni sfiancanti e ferie negate. Infatti, alle carenze di personale non si è mai risposto con nuove assunzioni e, il lungo momento di emergenza, ha messo in evidenza una situazione già critica e complessa.
Pertanto, la direttiva 2003/88/CE, che incoraggia la sicurezza e la salute dei lavoratori e nell’articolo 6 afferma che l’orario settimanale di lavoro deve essere in media di 48 ore al massimo, non viene rispettata. Inoltre, nelle 48 ore deve rientrare anche la corresponsione di uno straordinario. Sempre all’interno della medesima direttiva e all’articolo 3 si parla del diritto al riposo. A tal proposito, si afferma che ogni giorno devono essere riservate “11 ore consecutive di ristoro e un periodo di riposo di minimo 24 ore consecutive per ogni periodo lavorativo della durata di 7 giorni”. L’articolo 17 della stessa direttiva consente “agli stati membri la possibilità di introdurre delle deroghe ai limiti imposti al riposo minimo giornaliero e alla durata massima dell’orario settimanale”, soprattutto qualora si tratti “di servizi relativi all’accettazione, al trattamento e/o alle cure prestati da ospedali o stabilimenti analoghi, comprese le attività dei medici in formazione”.
Tuttavia, questa opzione può essere presa in considerazione solo se, in un secondo momento, il lavoratore ottenga un adeguato periodo di riposo appropriato. In casi eccezionali, se questo periodo non può essere concesso per motivi di causa maggiore, lo stesso deve essere tutelato con un’adeguata protezione. L’Italia ha impiegato molto tempo prima di recepire la direttiva e si è adeguata a alla disciplina europea solo in seguito ad un pronunciamento emesso dalla Commissione Europea nel novembre 2015. In seguito a questo riconoscimento, molti professionisti del settore hanno avanzato richieste di rimborsi e risarcimenti. Infatti, stando alla disciplina legislativa e alle Direttive europee, il personale medico e socio – sanitario avrebbe diritto a decine o centinaia di migliaia di euro di risarcimento. Dunque, lo scatenarsi e il protrarsi dell’emergenza sanitaria ha reso più evidente e complessa la situazione nel comparto medico, portando ad un autentico sfruttamento dei lavoratori del settore. Questa situazione estrema rischia di far impennare il numero di azioni legali, che potrebbe avere conseguenze economiche notevoli per i conti delle aziende sanitarie e le economie del Sistema Sanitario Nazionale. Inoltre, le conseguenze di questa situazione di sfruttamento potrebbero generare anche un impatto negativo sullo stato psico – fisico del personale stesso.