Fondazione Consulcesi e As.Me.V: dalla dialisi all’urologia, la lunga strada compiuta dalle missioni del Progetto Eritrea

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Visite specialistiche, interventi, nuove tecnologie e formazione: è questo in estrema sintesi il bagaglio che, missione dopo missione, i medici volontari dell’Associazione As.Me.V Calabria, con il sostegno della Fondazione Consulcesi, portano in Eritrea.
“Il progetto nasce proprio da una specifica richiesta dell’allora Ministro della Salute eritreo, Saleh Meky, una grande persona, che chiese a un medico che già operava lì in Eritrea come chirurgo plastico e ricostruttivo se fosse possibile fare la dialisi”, racconta Francesco Zappone, tecnico di apparecchiature elettromedicali, nonché volontario dell’ As.Me.V. Calabria, Onlus impegnata a fornire assistenza medica specialistica a persone indigenti ed in modo particolare a pazienti extracomunitari. “Questo collega conosceva l’attuale nostro presidente, il dottor Roberto Pititto, che andò in missione lì la prima volta nel 2005, giusto come sopralluogo, e disse che c’erano le condizioni per poter fare la dialisi. Così, il tempo di organizzarci e a gennaio 2008 eravamo lì per la prima volta”.
Nasce il primo centro di dialisi ad Asmara. “Con la prima missione, abbiamo portato lì quattro reni artificiali e insieme a Giancarlo Carravetta, un tecnico dell’impianto osmosi, abbiamo realizzato questo piccolo centro di dialisi che era di due posti, con due macchine in più di scorta. Inizialmente era un centro solo ed esclusivamente per acuti, per cui si trattavano pazienti che arrivavano nel pronto soccorso con insufficienza renale acuta. Ovviamente la prima
domanda che ci siamo posti è stata ‘che facciamo se un paziente acuto si cronicizza?’ Come accade spesso anche in Italia, in fase sperimentale abbiamo dovuto dire ‘andiamo avanti, vedremo poi’. È successo dopo appena due anni. È stato un caso più voluto da loro in fondo perché noi inizialmente avevamo avuto, per così dire, il consiglio di non parlare della dialisi proprio per non aprire speranze che non si potevano poi realizzare. Un giorno, eravamo lì in dialisi e arriva l’équipe della TV eritrea dicendo che dovevano fare un’intervista. Sembrava un po’ strana la cosa, e anzi ammetto che eravamo quasi preoccupati. Fatto sta che facciamo questa intervista e da quel giorno siamo diventati quelli della dialisi. Quello è stato il punto di svolta secondo me. Nel giro di due anni, quel centro di dialisi aperto all’Orotta Hospital di Asmara, capitale Eritrea, è cresciuta fino ad otto posti, diventando il centro di riferimento nazionale. A quattro anni da quella prima missione, un altro centro di dialisi, da otto posti letto, è stato aperto al Sembel Hospital. Attualmente
entrambi i centri lavorano benissimo, in autonomia, con infermieri e medici eritrei. Noi continuiamo a dare supporto, soprattutto tecnico e medico, perché nel frattempo abbiamo portato macchine di nuova generazione che possono ampliare le prestazioni”.
Com’è proseguito il progetto e che tipo di risultati avete ottenuto?
“L’As.Me.V Calabria, di cui faccio parte, è una piccola onlus. Quindi inizialmente ci sostenevamo soprattutto con aiuti locali, aziende con le quali lavoravamo soprattutto per quanto riguardava i macchinari. Ma ovviamente ci sono tanti altri costi in una missione, spesso non calcolati ma non meno importanti. Primi fra tutti, i biglietti aerei. In questo percorso abbiamo avuto la fortuna di conoscere quello con cui poi abbiamo aperto una collaborazione intensa: il professor Salvatore Galanti, persona squisita che lavorava lì già prima
di noi. Era un urologo, un chirurgo urologo, uno stacanovista che entrava in ospedale alle nove del mattino e usciva alle nove di sera. Andava anche lui due, tre volte all’anno. Lui al tempo era a bordo e guidava alcuni progetti charity del Gruppo Consulcesi, ed era riuscito a far portare lì, omaggiato da Consulcesi, un laser.
Ma quel laser, nel momento in cui doveva funzionare non aveva funzionato. Io mi trovavo lì in dialisi e mi chiese se potevo dare un’occhiata. Non era il mio campo ma decisi comunque di provare, e riuscii a farlo funzionare. Da allora, Galanti mi chiese se volevo aiutarlo ad organizzare le missioni, offrendomi il sostegno di Consulcesi per le spese come viaggi e alloggi, e così via. Da lì è nato il rapporto con Consulcesi; che devo dire è stato il salvavita del progetto, non solo di Asmara, proprio della dialisi e dell’urologia, perché ha
permesso di dare continuità al lavoro. Il problema della dialisi non è farla perché vai lì, scendi una settimana, installi le macchine, installi l’impianto osmosi, è farla funzionare. Formando il personale,
assicurando assistenza tecnica nel tempo. Il valore sta proprio nella continuità che si riesce a dare. Consulcesi ci ha permesso questo, supportandoci in quelle spese che purtroppo ci sono. Oggi, tra i due centri dialisi si eseguono tra i cinque e i seimila trattamenti all’anno. Dalla prima missione ad oggi, circa 500
pazienti acuti sono stati salvati da morte certa grazie alla dialisi. Da novembre del 2021 poi, mi sta accompagnando anche il dottor Arturo Carluccini, un chirurgo urologo che ha ripreso il percorso, purtroppo interrotto non per sua volontà dal professor Galanti. Abbiamo rimesso in funzione il litotritore che era
fermo e Arturo ha ripreso veramente come se fosse Toto. Entra in ospedale alle nove di mattina, lo vado a riprendere alle nove di sera. Fa circa cinquanta, sessanta visite in ogni missione e l’ultima volta, siamo stati poco, solo dodici giorni, ma è arrivato ad una quarantina di interventi, numeri importanti nel poco tempo disponibile”.
Che tipo di impatto ha avuto la pandemia da Covid-19 sulla missione e che cosa avete imparato da questo? “È stato un bel test. Perché ovviamente non siamo potuti andare per oltre un anno e mezzo. Però, la dialisi è stata sempre attiva. Ovviamente, ho trovato molte più macchine da riparare. Però fortunatamente avevamo previsto anche questo, nel senso che abbiamo lasciato molte più macchine di scorta rispetto a quelle che si lasciano qui nei centri dialisi. Quindi la dialisi non si è mai fermata. Questo ci ha fatto capire
soprattutto la qualità di questi infermieri e di questi medici”.
A proposito dei professionisti locali, come siete riusciti a superare il gap culturale e linguistico?
“Inizialmente c’era la difficoltà linguistica, anche se la lingua di base è l’inglese. Poi, negli ultimi sette, otto anni in particolar modo, l’università medica che si trova ad Asmara, ha iniziato a formare un bel po’ di infermieri, tra l’altro tutti giovani. Lì, è stata un’altra grande svolta per il progetto perché è stato più facile, per così dire, formare infermieri nuovi che vedevano la dialisi per la prima volta, per cui non avevano nessun retaggio da esperienze passate. È stato come avviare un computer nuovo, sono perfetti, mettono in
pratica in un modo perfetto quello che apprendono. Vedo come gestiscono i pazienti quando entrano in dialisi, come li dializzano e come li accompagnano. Vogliono capire le potenzialità della macchina, fanno domande. Giovani medici volenterosi che sono con la mente non aperta, spalancata”.
Che prospettive abbiamo per lo sviluppo del progetto?
“Per quanto riguarda la dialisi, per fortuna stiamo riuscendo, con dei progetti del Ministero degli Esteri, a rinnovare il parco tecnologico delle macchine. Stiamo portando giù macchine non solo nuove ma anche di ultima generazione. Lo abbiamo già fatto nell’Orotta Hospital e lo faremo al Sembel Hospital. Queste macchine riescono a fare delle terapie, anche specifiche. Per esempio, ci possono essere problemi di pazienti refrattari ai diuretici per quanto riguarda le cardiopatie. Allora queste macchine possono fare
dialisi specifiche anche pediatriche, specifiche per questi pazienti. Da un punto di vista medico invece, più formazione si dà e meglio è. Per un progetto che funzioni davvero, e che non sia solo frutto del cosiddetto turismo sanitario, bisogna cercare di trasferire più know-how possibile, quindi non essere egoisti con le proprie conoscenze. Contrariamente da quanto si possa pensare, ripeto, loro sono attenti, aperti anche alle innovazioni, anche su cose che non hanno mai visto. Credo che non dobbiamo inventarci nulla, basta portare quello che facciamo in Italia anche lì, che sia una competenza tecnica o medica. Ovviamente ci vuole una piccola predisposizione, ma niente di che. Perché poi uno quando va lì e pratica, scopre tanti altri aspetti. Ritorno sempre più ricco, non di questioni di dialisi, ma di tutti, tanti altri aspetti. Anche il rapporto
con culture diverse. Per me ogni missione è un enorme arricchimento. Per portare avanti i progetti nati dalla collaborazione tra As.Me.V e Fondazione Consulcesi, abbiamo bisogno di specialisti, nefrologi e urologi che abbiano soltanto la buona volontà di fare quello che fanno in Italia, farlo lì. Certo, bisogna possedere un po’ l’arte dell’arrangiarsi”, aggiunge ridendo Zappone. “Ma d’altronde è così, altrimenti non ci sarebbe la necessità di andare”.
Parlando di arricchimento umano, relazionale e culturale, ha qualche storia particolare? Qualcosa che porta nel cuore?
“Faccio un po’ di mente locale perché ne ho viste tante in questi quattordici anni. Mi torna alla memoria una storia triste nel suo epilogo, ma che mi ha colpito profondamente. C’era un ragazzo di ventisei anni che si era infortunato cadendo da un albero. Purtroppo, non hanno avuto la prontezza di portarlo in ospedale ma dal loro medico del villaggio, medico è una parola grossa ecco. Fatto sta che è andata in necrosi. Ha avuto l’amputazione della gamba, ma sempre con ritardo. Quindi questo poi ha cominciato ad andare in cancrena gassosa e l’abbiamo dializzato una settimana, ma sapevamo che ormai non potevamo fare altro, cercavamo solo di accompagnarlo al fine vita nel modo più decente possibile. È successo che qualche giorno dopo che il ragazzo purtroppo era morto, viene il direttore dell’ospedale. Eravamo io e Roberto
(Pititto, Presidente di As.Me.V e medico volontario), e ci dice che c’erano i parenti del ragazzo che ci volevano incontrare. Noi avevamo un po’ di timore onestamente. Forse sono arrabbiati, pensavamo…perché magari si aspettavano il miracolo. Arriviamo lì, e invece ci troviamo di fronte lo zio,
venuto a parlare a nome del padre, che si scusava, in sintesi, del fatto che il nipote ci avesse fatto perdere tempo, perché lo avevamo dovuto dializzare una settimana anche di domenica. Io e Roberto ci guardavamo increduli”.

Massimo Tortorella

Ambiente, Consulcesi, dilaga Ecoansia, boom adesioni all’azione collettiva aria pulita

Consulcesi registra una nuova impennata delle adesioni all’azione collettiva Aria Pulita mentre nel Paese dilaga il fenomeno dell’ecoansia ed il timore per i cambiamenti climatici legati all’inquinamento. “Nelle ultime settimane – annuncia il Presidente Massimo Tortorella – c’è stato un incremento del 20% dei partecipanti alla nostra causa per le violazioni dei limiti di Pm10 e biossido di Azoto in oltre 3mila comuni italiani. In pochi mesi abbiamo raccolto già decine di migliaia di adesioni che di giorno in giorno crescono esponenzialmente”. Stando alle segnalazioni raccolte sul portale ‘Aria Pulita’ e sui social, il boom di richieste di partecipazione all’azione collettiva è la testimonianza di poter raggiungere un numero sempre più
elevato di ricorrenti per spingere le Istituzioni a trovare soluzioni e metterle in pratica rapidamente.
“Siamo convinti che l’ampia partecipazione all’azione collettiva ‘Aria Pulita’, oltre a riconoscere un risarcimento per il danno subito e accertato dalla stessa Corte di Giustizia Europea, servirà a scuotere le coscienze dei decisori politici. Speriamo che, una volta messi alle strette, sentiranno più forte – commenta
Massimo Tortorella – la necessità di mettere finalmente in atto tutte le misure urgenti e necessarie di contrasto all’inquinamento atmosferico a tutela del diritto di ogni cittadino di vivere in un ambiente salubre. È importante per noi oggi e lo sarà di più per i nostri figli e le generazioni future ancora”.
La mappa dell’Ecoansia: Dolore, rabbia, senso di colpa e vergogna sono solo alcuni dei sentimenti che travolgono coloro che soffrono di ecoansia, un disagio che si sta diffondendo come un’epidemia in Italia.
Complici le ondate di calore estreme di questi giorni, così come anche i nubifragi, le alluvioni, le grandinate record che hanno colpito il Nord Italia, è aumentata la consapevolezza degli effetti devastanti dell’inquinamento e di conseguenza dei cambiamenti climatici. Gli psicologi parlano di una crescente
ondata di stress e angoscia tra gli italiani, specialmente i più giovani, legata ai cambiamenti climatici e ai timori per il futuro.
“Non credo che sia un caso che le adesioni arrivino maggiormente dai comuni d’Italia più colpiti da questi eventi meteorologici estremi e che hanno notoriamente i più alti livelli di inquinamento atmosferico”,  conferma Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi. La maggior parte delle adesioni, oltre il 65%, arrivano dal Nord Italia: Milano, Brescia, Modena, Bologna, Carpi e molti altri comuni tra i più popolosi della Pianura Padana. Il 20% circa arriva invece dalle città del Centro Italia, in primi Roma, seguita da Prato e Firenze. Le restanti, invece, provengono dalle grandi città del Sud, come Napoli, Taranto e Brindisi. E dalla Sicilia con Catania e Palermo che fanno da capofila. Sono tutti comuni e città che rientrano nell’elenco degli oltre 3.300 individuati dal team di legali di Consulcesi come candidabili all’azione collettiva ‘Aria Pulita’ e gli
stessi per i quali la Corte di Giustizia Europea ha multato l’Italia per violazione del superamento dei valori soglia di polveri sottili (Pm10) e biossido d’azoto (NO2). In totale sono oltre 40 milioni lepersone che possono richiedere, tramite l’iniziativa legale di Consulcesi, un risarcimento per aver respirato, loro
malgrado, “aria avvelenata”.
L’azione collettiva: Possono aderire all’iniziativa legale Aria Pulita tutti coloro che hanno risieduto nelle
zone dove si sono verificate le violazioni accertate dal Corte di Giustizia Europea (sentenza del 10/11/2020 e sentenza del 12/05/2022). Per aderire è sufficiente dimostrare, tramite certificato storico di residenza, di
aver risieduto per almeno 1 anno continuativo, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018, in uno o più dei 3.384 comuni italiani individuati. Si stima un risarcimento fino a 99 euro al giorno, che andrà moltiplicato per ogni giorno di ciascun anno relativo al periodo di violazione. Per scoprire se e come partecipare alla causa collettiva, Consulcesi mette a disposizione il sito di Aria Pulita: www.aria-pulita.it.