Il 65% dei pazienti utilizzerebbe una terapia digitale

Il 65% dei pazienti utilizzerebbe una terapia digitale proposta dal medico curante, in particolare se consentisse di migliorare lo stile di vita e lo stato di salute (77%) e avere maggior consapevolezza della propria patologia (72%).
Entro 5 anni l’intelligenza artificiale rivoluzionerà la medicina personalizzata.
Sono alcuni dati della ricerca dell’Osservatorio Life Science Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Alleanza Malattie Rare, Apmarr, Fand, FederAsma e Onconauti,
Già oggi – spiega la ricerca – ci sono strumenti digitali per il monitoraggio a domicilio del paziente, come sensori, app per la salute e real-world data, entro breve ci sarà l’IA applicata alla medicina personalizzata e le cosiddette terapie digitali (DTx), “soluzioni digitali validate clinicamente per integrare o sostituire le terapie tradizionali, per cui in Italia non esiste ancora una normativa di riferimento”.
Circa la metà dei medici specialisti coinvolti nella ricerca grazie a Consulcesi Homnya, Amd, Ame, Fadoi e Simfer, e dei medici di medicina generale, coinvolti grazie alla Fimmg, sarebbe disposta a prescrivere una terapia digitale se ne avesse la possibilità, soprattutto se certi che il paziente possegga le competenze digitali per un corretto utilizzo (72% dei medici specialisti e 69% dei Mmg). Tra i principali benefici riconosciuti dai medici specialisti, emerge la possibilità di avere a disposizione un maggior numero di dati a supporto sia della ricerca clinica (68%) che per prendere decisioni (65%).
A livello internazionale l’Osservatorio Life Science ha censito 93 terapie digitali già presenti: il 37% nella psichiatria, il 14% nell’endocrinologia, il 10% nella reumatologia e il 10% nell’oncologia. E’ di circa 500 euro il prezzo medio di un trattamento di 90 giorni. Dall’analisi emerge inoltre che per le imprese pharma, biotech e medtech “le barriere a investire nel digitale sono soprattutto la difficoltà di quantificare i benefici derivanti dagli investimenti e mancanza di competenze digitali”.

Massimo Tortorella

Liberia, prima scuola per i bambini di Fahn Jack grazie a due ong

Alle bambine e ai bambini della remota comunità di Fahn Jack in Liberia era quasi negato l’accesso all’istruzione primaria. Sei miglia al giorno (quasi 10 km) da percorrere a piedi per raggiungere la scuola più vicina scoraggiavano la maggior parte degli abitanti locali, che presentavano infatti un tasso di assenteismo scolastico altissimo.
Street Child Italia e Fondazione Consulcesi sono pertanto orgogliose di annunciare l’inaugurazione della prima scuola nella comunità di Fahn Jack, grazie al progetto “Una scuola in Liberia” che rappresenta un passo fondamentale verso il miglioramento dell’istruzione per i bambini e il futuro della Liberia.
Il nuovo edificio scolastico offre ben tre aule, un ufficio, un magazzino, una fontana d’acqua e tre bagni. La scuola è situata vicino alla città di Kakata, più precisamente nella comunità di Fahn Jack, circa un’ora dalla capitale Monrovia. Questa comunità rurale non ha mai ricevuto i fondi necessari per costruire un edificio scolastico nel proprio territorio, per questo motivo l’intervento di Street Child Italia e Fondazione
Consulcesi è stato fondamentale.
“In un mondo in cui ancora troppi bambini sono privati del diritto all’istruzione, la collaborazione è fondamentale: Street Child Italia e Fondazione Consulcesi dimostrano con questo progetto che è possibile fare la differenza, unendo le forze e mettendo al centro i bisogni dei bambini”, ha commentato Roberta
Giassetti, Direttrice di Street Child Italia.
“Siamo convinti che ancor più del contrasto alla povertà, il sostegno all’educazione sia un investimento sul futuro, capace di cambiare un popolo dalle radici e piantare i semi della democrazia e della pace” ha commentato Simone Colombati, Presidente della Fondazione Consulcesi.
Dalle 10 di oggi, gli abitanti di Fahn Jack e dei villaggi vicini hanno iniziato ad arrivare. Tra loro, molti bambini in età scolare, genitori e anziani, tutti uniti dall’entusiasmo per questa nuova opportunità educativa. All’arrivo degli ospiti di Street Child e del Ministro dell’Istruzione della Liberia, i bambini erano
già impegnati in sessioni di apprendimento.
Intorno al cortile della scuola, i genitori hanno celebrato il progetto con canti e strumenti tradizionali. La presenza di più di settanta bambini in età scolare e di numerosi residenti ha reso l’evento ancora più speciale. Un insegnante ha evidenziato che molti bambini che non frequentavano la scuola nei villaggi vicini si iscriveranno nel prossimo anno accademico. La cerimonia ufficiale è iniziata con la consegna delle chiavi della scuola: Andrew G. Tehmeh Direttore dei Lavori di costruzione Street Child Of Liberia ha consegnato formalmente l’edificio al Rappresentante dell’Istruzione della Contea di Margibi Gayflor Mulbah. Mulbah ha poi consegnato le strutture all’autorità locale, rappresentata dal Capo Generale del Villaggio, che infine le ha affidate al capo della comunità di Fahn Jack.
A gennaio 2024, Street Child of Liberia ha iniziato la costruzione di un edificio scolastico con tre aule e uno spazio per ufficio, grazie al finanziamento della Fondazione Consulcesi. All’inizio del progetto è seguita una intensa attività di sgombero del sito, rimozione di massi e piante, scavi e completamento della
sovrastruttura. La squadra di Street Child of Liberia ha effettuato visite settimanali di monitoraggio e supervisione della costruzione, coinvolgendo attivamente i membri della comunità nella fornitura di materiali locali. Nel frattempo, gli insegnanti hanno iniziato la formazione con la metodologia “Teaching at the Right Level”, che si concentra sui bisogni specifici di apprendimento dei bambini.
Un’interessante opportunità è nata durante il progetto: il governo tedesco ha finanziato le “soft activities” (trasporto e istruzione degli insegnanti, consegna di school kits) delle scuole costruite in Liberia dal network globale di Street Child. Ciò ha permesso alla Fondazione Consulcesi di concentrarsi sulle “hard activities” (costruzione dell’edificio scolastico e servizi sanitari). Questo contributo ha avuto un impatto significativo non solo per gli studenti ma anche per l’intera comunità.

Massimo Tortorella

Emergenza Dengue: 10 raccomandazioni per viaggiare sicuri

Allarme Dengue, cresce la preoccupazione anche in Italia: si contano 24 nuove infezioni in un mese. Lo riporta l’ultimo bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità. Nel mirino, l’epidemia record in Sudamerica:
oltre 3 milioni di casi dall’inizio di quest’anno, come riferisce l’Organizzazione mondiale della sanità. Da inizio 2024, sono 283 i casi confermati di Dengue segnalati all’ISS in Italia, con un picco tra i mesi di febbraio e aprile, tutti associati a viaggi all’estero.
Con l’obiettivo di formare i professionisti sanitari e permettere loro di informare la popolazione generale su questo virus emergente, è nato il corso “Febbre Dengue: facciamo chiarezza“ (1.5 ECM), tenuto dal Prof.
Massimo Andreoni (SIMIT) e organizzato da Consulcesi Club. Il Corso di formazione continua in medicina, fruibile in modalità a distanza e disponibile gratuitamente con la sola registrazione a Consulcesi Club, offre
un approfondimento sulle implicazioni epidemiologiche, diagnostiche e gestionali della Dengue nel contesto italiano. È il primo corso in Italia registrato all’Agenas a trattare specificatamente il tema della Dengue.
La febbre Dengue: cos’è
La febbre Dengue è una malattia infettiva diffusa dalla zanzara Aedes. Le manifestazioni del virus includono: febbre alta, mal di testa con dolore attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, nausea e vomito, e in alcuni casi un esantema diffuso che compare dopo 3-4 giorni dall’insorgenza della febbre. Di recente è stata segnalata una grande epidemia in Sudamerica ed in particolare Brasile e Argentina. La maggior parte dei casi si manifesta con una lieve malattia, simile a un’influenza. Il 5% dei pazienti è colpito da una forma più acuta, che può provocare complicazioni gravi con
danni alle funzioni vitali degli organi, fino alla morte. La sua diffusione è preoccupante anche in paesi come l’Italia, dove – pur se assente la zanzara Aedes – la presenza della zanzara tigre aumenta il rischio di trasmissione locale, in quanto anche quest’ultima può fungere da vettore. Nel 2023, infatti, i casi autoctoni di Dengue in Italia sono stati 82.
Dieci raccomandazioni per affrontare l’epidemia
Nel corso ECM di Consulcesi Club, il prof. Andreoni ha condiviso preziosi consigli per i viaggiatori e coloro che ritornano da zone a rischio di febbre Dengue. L’esperto ha anche dato delle raccomandazioni rivolte alle Istituzioni e alle strutture Sanitarie.

Tra queste:
Vaccinazione: quando si viaggia in zone ad alta endemia come il Brasile per lavoro, la vaccinazione è raccomandata come prima indicazione. Per soggiorni brevi, sono consigliati repellenti cutanei, abbigliamento protettivo e altre misure cautelative per ridurre il rischio di punture di zanzare.
Misure preventive per viaggiatori: Avere dei vestiti a manica lunga e con i pantaloni lunghi soprattutto nelle ore in cui le zanzare sono più aggressive, quindi la mattina presto oppure nella tarda serata. I vestiti meglio chiari perché il colore chiaro non è amato dalle zanzare. Usare anche repellenti. Quindi, utilizzare anche sistemi all’interno delle abitazioni contenenti sostanze che a lento rilascio cacciano le zanzare. In sintesi, usare tutta quella serie di interventi finalizzati a ridurre il rischio di essere raggiunti dalle zanzare.
Consigli per chi rientra da zone a rischio: è essenziale essere consapevoli dei sintomi della dengue, quali febbre alta, dolori articolari e rash cutaneo, e consultare immediatamente un medico in caso di manifestazione di tali sintomi entro cinque-sei giorni dal ritorno da viaggi in zone endemiche.
Strategie di prevenzione in Italia: con tutti i casi di dengue attualmente importati, è fondamentale adottare misure di controllo ambientale per prevenire la trasmissione locale della malattia. Questo include
l’isolamento dei pazienti infetti, la disinfestazione ambientale e il monitoraggio attivo dei casi.
Monitoraggio attivo dei casi: è essenziale che i medici di medicina generale siano in grado di individuare precocemente i casi di dengue, tenendo comunque presente che il 50% dei soggetti infettati rimangono
asintomatici. Un monitoraggio attivo dei sintomi con la segnalazione di viaggi in zone endemiche è fondamentale per prevenire la trasmissione locale della malattia.
Comunicazione medico-paziente: ai primi sintomi sospetti bisogna parlare con il proprio medico curante. Ricordargli che si è rientrati da un viaggio in una zona in cui c’era endemicamente la dengue. Questo è molto importante, perché oltre a essere curati in maniera tempestiva, riduciamo la diffusione. Infatti, il paziente deve fare attenzione ed evitare di essere punto da una zanzara che può quindi trasmettere la malattia ad altre persone.
Contrastare l’endemicità in Italia: le strategie per prevenire che l’Italia diventi un paese endemico richiedono un approccio complesso e mirato. È fondamentale ridurre al minimo la circolazione delle zanzare attraverso la disinfestazione ambientale e il monitoraggio attivo dei casi di dengue.
Gestione dei pazienti contagiati: quando si identifica un paziente infetto, è cruciale isolare il paziente per prevenire ulteriori punture di zanzara che potrebbero trasmettere la malattia ad altre persone. E’ anche
importante bonificare l’ambiente in cui il paziente vive, utilizzando insetticidi per eliminare le zanzare.
Coinvolgimento delle autorità sanitarie: è necessario un coordinamento internazionale stretto tra autorità sanitarie, operatori sanitari e cittadini per implementare efficacemente le misure preventive e di controllo
della dengue.
Informazione e sensibilizzazione: infine, è fondamentale educare la popolazione sull’importanza della prevenzione della dengue e sulle misure da adottare per proteggere sé stessi e gli altri dalla malattia. Per informare i pazienti, è necessario innanzitutto formare i medici e i professionisti sanitari.

Massimo Tortorella

Il 65% dei pazienti utilizzerebbe una terapia digitale

Il 65% dei pazienti utilizzerebbe una terapia digitale proposta dal medico curante, in particolare se consentisse di migliorare lo stile di vita e lo stato di salute (77%) e avere maggior consapevolezza della propria patologia (72%).
Entro 5 anni l’intelligenza artificiale rivoluzionerà la medicina personalizzata.
Sono alcuni dati della ricerca dell’Osservatorio Life Science Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Alleanza Malattie Rare, Apmarr, Fand, FederAsma e Onconauti,
Già oggi – spiega la ricerca – ci sono strumenti digitali per il monitoraggio a domicilio del paziente, come sensori, app per la salute e real-world data, entro breve ci sarà l’IA applicata alla medicina personalizzata e le cosiddette terapie digitali (DTx), “soluzioni digitali validate clinicamente per integrare o sostituire le terapie tradizionali, per cui in Italia non esiste ancora una normativa di riferimento”.
Circa la metà dei medici specialisti coinvolti nella ricerca grazie a Consulcesi Homnya, Amd, Ame, Fadoi e Simfer, e dei medici di medicina generale, coinvolti grazie alla Fimmg, sarebbe disposta a prescrivere una terapia digitale se ne avesse la possibilità, soprattutto se certi che il paziente possegga le competenze digitali per un corretto utilizzo (72% dei medici specialisti e 69% dei Mmg). Tra i principali benefici riconosciuti dai medici specialisti, emerge la possibilità di avere a disposizione un maggior numero di dati a supporto sia della ricerca clinica (68%) che per prendere decisioni (65%).
A livello internazionale l’Osservatorio Life Science ha censito 93 terapie digitali già presenti: il 37% nella psichiatria, il 14% nell’endocrinologia, il 10% nella reumatologia e il 10% nell’oncologia. E’ di circa 500 euro
il prezzo medio di un trattamento di 90 giorni. Dall’analisi emerge inoltre che per le imprese pharma, biotech e medtech “le barriere a investire nel digitale sono soprattutto la difficoltà di quantificare i benefici derivanti dagli investimenti e mancanza di competenze digitali”.

Massimo Tortorella